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da 23/2/2015


La danza non può esistere isolata dalla società in cui viviamo, né dai problemi quotidiani dell’uomo e, fondamentalmente, non deve essere privilegio di coloro che si definiscono dotati, bensì patrimonio dell’educazione comune, come materia di grande valore estetico e formativo.

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(Dall’intervista con Betina Bonsignore)

Maria come nasce l’espressione “Danzaterapia”?
Dopo molti anni di lavoro con persone sorde, persone con sindrome di Down e altri problemi, Lia Lerner, un’amica psicologa attualmente note fece un’osservazione a proposito delle mie lezioni con adulti.
So, attraverso questa esperienza, che tramite il movimento si può formulare una teoria e comprendere più a fondo un paziente, perché, per quanto grandi siano le resistenze psicologiche durante una psicoterapia, il corpo non mente.
In realtà fu proprio lei ad affermare che ciò che stavo realizzando era un lavoro terapeutico più che una danza creativa. E’ in questo modo casuale – dico casuale perché non fu né imposto, né ricercato – che è nata l’espressione “Danzaterapia”.

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Quando qualcosa viene nominato, questo qualcosa ha già un corpo proprio che gli permette di essere quello che è…
Ho sempre saputo che il corpo ha risposte che si possono analizzare senza parole. Si può conoscere la psiche attraverso il movimento e l’espressione del corpo, che hanno un linguaggio proprio, ma non è quello che faccio io. Non mi stanco di sottolineare che non sono una psicologa, non offro interpretazioni, né do ricette. Sono un’ artista che, attraverso un lavoro creativo, ha trovato un metodo che ottiene cambiamenti nelle persone mediante il movimento.
Quello che faccio è unicamente stimolare le potenzialità che ciascuno possiede.

mariaIo non parlo mai di curare, bensì di cambiare. E, qualunque sia il tipo o la gravità del problema ci sarà sempre qualcosa che si potrà modificare, anche se è necessario chiarire che il solo movimento di per sé non permette a una persona di cambiare, così come non tutte le persone sono necessariamente predisposte a un cambiamento (nel corpo, nel modo di sentire, nella vita).
Si tratta, anche, del momento adatto. A volte non è il momento giusto per ricevere un aiuto, aprirsi di fronte ad una difficoltà.
I passi avanti si verificano quando le circostanze lo permettono, non solo per una questione di volontà o insistenza.
E’ come un cibo delizioso che può essere gustato lentamente, condiviso e assimilato da molti, anche se non da tutti né in qualsiasi momento.

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Qual è il segno più chiaro di progresso (o di evoluzione) nel processo di apprendimento della danzaterapia?
Non rimanere con la stessa immagine iniziale, non ripetere. Il segno più chiaro è quando il lavoro diventa più sciolto, con la fluidità di un linguaggio verbale, rompendo i nodi del corpo. La risposta più evidente si percepisce nei cambiamenti corporei visibili attraverso l’espressione della bocca, dello sguardo, del torace, della mano attraverso l’atteggiamento del corpo e un rapporto più diretto con la gioia e con la possibilità di sentire che “sto danzando e quello che sto facendo mi appartiene.

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Qual è il primo cambiamento che l’alunno sperimenta con la danzaterapia?
Il suo sorriso, il suo sguardo verso il mio corpo (che lentamente si trasforma nel suo) e l’accettazione dei suoi limiti che non significa rassegnazione, bensì riconoscimento e opportunità.
Ovviamente questo non succede da un giorno all’altro, ma è certo che avverrà,  per ciascuno al momento giusto. L’alunno arriva a comunicare con il proprio corpo, senza imposizioni, sentendo di abbandonare lentamente tutta la sua rigidità e di diventare più flessibile, e questo, che lo aiuta a riconoscersi, lo porta ad una sensazione piacevole e stabile di “sì, posso”.
In alcuni casi stimolo più la sensibilità che il movimento, perché la sensibilità ci conduce direttamente alle possibilità che si aprono interiormente ed esteriormente.
Quello che facciamo non è una ginnastica tecnica così che nessuno resta ai margini.
Nelle mie lezioni non mostro mai quello che so o che non so ed è per questo che ottengo sempre una risposta che è un atto creativo.

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Come affronta la danza con l’adulto?
Molti adulti arrivano al movimento dopo un lungo cammino segnato da oblio e mancati incontri con il corpo, da una vita fatta di sedentarietà, da atteggiamenti che li allontanano sempre più dalla flessibilità naturale che tutti ci portiamo dall’infanzia, da tensione psichica e da preconcetti.
La maggior parte si domanda se vale la pena muoversi, dal momento che sentono di aver perduto ogni possibilità di espressione e di movimento al di fuori della prevedibile routine.
Alcuni vengono mossi da un dolore più che da un desiderio stesso di muoversi ed esprimersi.
La domanda classica è ” posso alla mia età?” che sostituisce, elegantemente, l’affermazione “non posso”. Si sono, comunque ,avvicinate al mio studio e questo significa che hanno fatto un passo per uscire dalla staticità o dall’ignoranza delle proprie possibilità.


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I suoi alunni si raggruppano in base alla preparazione o al loro stato fisico?
Quando ricevo un alunno, non chiedo a cosa si dedica (lo faccio solo in seguito) per non farmi condizionare o limitare: preferisco scoprire cosa fa un corpo che non ha titoli. Mi interessa solo sapere il suo nome.
La stessa cosa avviene con i bambini: non chiedo mai che medico li ha mandati, per non lasciarmi condizionare da storie (o diagnosi mediche o psicologiche). Ciò che ho imparato è che, attraverso la conoscenza dell’altro, vedo che i limiti segnalano sempre possibilità, li vedo come opportunità.
Per me non esistono il sano e l’infermo; molte volte ricevo risposte che superano di molto le aspettative legate alle “possibilità” di persone con grandi difficoltà, mentre capita che alunni molto dotati necessitano di tempi più lunghi per sensibilizzarsi e introdursi nei meandri  più profondi  del corpo.

 

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Arrivate a questo punto, credo sia opportuno (e necessario) domandarle: cos’è la danzaterapia?
Onestamente non so se posso risponderti con una definizione da dizionario, ma, sì, posso affermare che attraverso il movimento si producono cambiamenti che non sono solo fisici ma che coinvolgono attivamente il nostro corpo interiore, molte volte isolato, ignorato, segnato da paure e problemi sia sensoriali che psichici. Attraverso gli stimoli che offro si muovono e cambiano i “no” del corpo, trasformandosi in successivi “sì”, in “ciò che sto facendo mi appartiene”.

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Stimolo semplicemente le aree addormentate, che non si raggiungono solo attraverso forme uditive, ma con la partecipazione attiva di tutto il corpo, il vero protagonista.
Ovviamente questo cambiamento non avviene in un giorno, né in un mese. Si può cambiare in un istante, ma questo istante può arrivare dopo molto anni.
Io aspetto questo cambiamento con pazienza e, anche quando ho di fronte 50 persone, percepisco un mutamento in quell’essere, in quell’unica persona che durante tanti anni ha detto soltanto “No, non posso”. In questo istante misterioso comincia a sorridere perché sente, senza parole, che “sì,  può”.
E’ questo che fa di me un ponte e non un modello.

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